Mostra a Palazzo Strozzi e al Convento di San Marco dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026
Guido di Pietro, Fra Giovanni o Beato Angelico?
Una sola persona, tre nomi diversi. Nato Guido di Pietro, divenuto Fra’ Giovanni da religioso, è però Beato Angelico, il nome d’artista con cui è passato alla storia.
L’Angelico e le origini del Rinascimento
La storia dell’Angelico corrisponde alle origini del Rinascimento: siamo negli ultimi anni del XIV secolo e Firenze si sta preparando a dare una svolta alla cultura artistica, proponendo un nuovo modo di intendere l’uomo e il suo rapporto con l’universo e di rappresentarlo.
Se pensiamo a questo momento di grande rinnovamento del pensiero, i nomi che emergono immediatamente sono quelli di Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Raffaello. Tuttavia parafrasando, il noto intellettuale Bernardo di Chartres, maestro della scuola omonima nel XII, questi grandi non sono che nani sulle spalle dei giganti.
I pionieri del nuovo linguaggio
I veri giganti che hanno (di)segnato la cultura artistica del Rinascimento nacquero per la maggior parte alla fine del Trecento. Essi furono capaci di parlare un linguaggio nuovo nonostante la cultura gotica che dominava incontrastata da secoli in tutta Europa.
Brunelleschi fu il capofila, l’iniziatore; ma ebbe al suo fianco lo scultore Donatello, grande genio insuperato, e due pittori: il giovane Tommaso, meglio conosciuto come Masaccio, e Beato Angelico, appunto, l’artista dello splendore della luce e della bellezza divina nel mondo terreno.
Per tanto tempo l’arte dell’Angelico è stata classificata, se non squalificata, ai ranghi di una pittura per lo più devozionale. È vero che le sue opere trattano unicamente di soggetti sacri, ma esse esprimono una così profonda e potente manifestazione del sacro che nessun altro artista è riuscito ad eguagliarle.
Bisognerà aspettare Caravaggio perché questa epifania si manifesti nuovamente ed effettivamente, insieme a Caravaggio, l’Angelico è il mio pittore prediletto.
Beato Angelico e la sua carriera tra Firenze e Roma
La sua fama si diffuse così tanto in tutta Italia che, ben presto, venne chiamato a lavorare in terra pontificia.
Inizialmente fu chiamato dal papa Eugenio IV, che aveva avuto modo di saggiare la grazia pittorica dell’artista domenicano proprio a Firenze nel Convento di San Marco, e in seguito da papa Niccolò V.
Per conto di quest’ultimo Beato Angelico realizzò due cicli di affreschi. Il primo per la cappella privata del papa – detta Niccolina – definito l’espressione massima dell’”Umanesimo cristiano” del pittore e il secondo per un ambiente attiguo ad uso di studio-biblioteca, ma i cui affreschi sono andati perduti.
Nonostante queste commissioni prestigiose, l’Angelico predilesse la sua città, Firenze, dove svolse la maggior parte della sua attività. Di tutti i luoghi, il Convento di San Marco fu il suo prediletto …
Il Convento di San Marco, luogo di pace custode delle opere dell’Angelico, espressione di assoluta bellezza
…e a onor del vero anche il mio. Ricordo – non con nostalgia, ma sicuramente con commozione – che il mio debutto come operatrice della Sezione Didattica della Galleria degli Uffizi, nel guidare le scuole alla conoscenza dei luoghi museali fiorentini, fu proprio al Convento di San Marco.
Sono passati quasi 30 anni ormai e tanti cambiamenti sono avvenuti, ma per me, il Convento di San Marco, rimane il luogo della pace e le pitture dell’Angelico una delle più alte sintesi della bellezza. La sua formazione come miniatore lo ha dotato di una sapienza rara, resa evidente in tanti aspetti della sua arte: nella maestria nell’uso dell’oro come esaltazione della luce; nel suo amore nel rendere unico ogni più minuto dettaglio, dal filo d’erba alle sfumature di colore delle ali degli angeli; nella sua attenzione a restituire, attraverso le delicatissime espressioni del volto e dei gesti, l’emozione dell’estasi e la disperazione del tormento.
Immergersi nelle opere dell’Angelico è come immergersi in un mare di bellezza che può solo fare bene e di cui si può solo provare nostalgia quando ci si allontana.
Fu lo scrittore domenicano Fra Domenico Giovanni da Corella che suggellò la fama del pittore definendolo, nel suo libro di lodi alla vergine, il Theotocon, “Angelicus pictor” dopo aver ammirato i pannelli delle ante dell’armadio degli Argenti, un tempo custodito nella basilica della Santissima Annunziata e oggi conservati nella foresteria del convento di San Marco.
Il Convento di San Marco si rinnova: Cosimo dei Medici e Michelozzo, Sant’Antonino e l’Angelico sono i protagonisti del rinnovamento
L’attività pittorica dell’Angelico a San Marco fu voluta da Sant’Antonino, priore del Convento proprio negli anni della restaurazione del Convento. Questa fu finanziata da Cosimo il Vecchio dei Medici e diretta dal suo architetto di fiducia Michelozzo. Sant’Antonino e l’Angelico si conoscevano dai tempi in cui entrambi, appartenenti all’ordine dei domenicani della basilica di Santa Maria Novella, decisero, insieme ad altri confratelli, di staccarsi dalla chiesa madre per ritrovare l’antica obbedienza alla regola, da cui il titolo di domenicani dell’Osservanza. Insieme fondarono e costruirono un nuovo convento – di cui l’Angelico fu priore in seguito – nel villaggio alle pendici di Fiesole, città di antica fondazione etrusca, oggi chiamata San Domenico di Fiesole. Al Convento di San Marco si recava tutti i giorni per dedicarsi alla sua opera spirituale d’artista, lasciando ai suoi confratelli il suo sacro testamento pittorico.
Un susseguirsi di affreschi, destinati alla devozione comunitaria, così come erano situati nei luoghi di passaggio, che privata per sublimare lo spazio delle singole cellette.
Il Convento di San Marco oggi: un luogo di forte memoria spirituale
Dalla seconda metà del XIX secolo possiamo anche noi gioire dello splendore dei colori che emerge nelle sue opere, delle innovative soluzioni compositive frutto dell’adesione al linguaggio rinascimentale, della delicatezza delle immagini sacre perfettamente calate nella realtà della Firenze del Quattrocento.
Visitare il Convento di San Marco significa immergersi in un tempo e in uno spazio lontano ma ancora intimamente presente nel tessuto cittadino,
portatore di valori ormai dimenticati come l’armonia, la grazia e il bello che dovremmo imparare a ritrovare.
Per questo la mostra organizzata a Palazzo Strozzi, e di cui il Convento di San Marco costituisce il prologo, è un’esperienza unica da non mancare.
Per entrambe le sedi – sia quella museale del Convento, che quella espositiva a Palazzo Strozzi – la prenotazione è vivamente consigliata per gli individuali e obbligatoria per i gruppi a partire da 6 persone.
Di seguito i link per effettuare la prenotazione al Convento di San Marco, tramite Coop Culture, e a Palazzo Strozzi tramite Vivaticket. Buona visione a tutti.
