I Medici, Savonarola e la Piagnona

Il Convento di San Marco è, in assoluto, il luogo dell’Angelico. Là dove l’artista ha lasciato il suo testamento spirituale attraverso le pitture concepite e modellate per i suoi confratelli domenicani.

Il convento di San Marco: un scrigno di tesori oltre l’Angelico

Questo luogo così ricco di cultura, tuttavia, custodisce tanti altri tesori, forse meno noti ma altrettanto significativi per la storia artistica e politica di Firenze.
Mi riferisco, in particolare, ai reperti legati alla figura del priore Domenicano Fra Girolamo Savonarola e alle vestigia recuperate dallo sventramento del centro storico della città attuato nel periodo di Firenze capitale.
Sono testimonianze legate a due momenti storici diversi ma che hanno profondamente segnato la città.

Savonarola e la caduta dei Medici

Principiamo con Savonarola, una figura determinante per la cacciata della famiglia dei Medici da Firenze che, allo stesso tempo, decreterà anche la sua drammatica fine.
Siamo nel 1496, Lorenzo il Magnifico era morto da soli pochi anni e il figlio Piero avrebbe dovuto porsi alla guida politica della città, assumendo l’eredità paterna.
Il suo volto ci è stato tramandato da una raffinata miniatura di Gherardo di Giovanni, a corredo della dedica a lui rivolta e contenuta nella prima edizione dell’opera di Omero. L’opera, che venne stampata a Firenze nel 1489, è oggi conservata alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Napoli. Sono anni difficili per la città e Piero, definito con il titolo, poco lusinghiero, di fatuo o sfortunato, si dimostra incapace di gestire sia la situazione interna che le interferenze estere che si facevano sempre più minacciose.

La minaccia di Carlo VIII, re di Francia

Nello specifico, fu proprio la discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia, che renderà ancora più instabile la già poca credibilità di Piero. L’obiettivo del re non era Firenze, ma il Regno di Napoli in quanto, sulla base dei diritti di discendenza, egli rivendicava il controllo e il possesso dei territori del sud della penisola. Come evinciamo dalla lettera indirizzata al segretario Bibbiena, Piero dei Medici si sentiva “in potere del re di Francia” e così, per codardia e timore di ritorsioni, decise di offrigli le città di Pisa, Pietrasanta e Livorno e la fortezza di Seravezza: territori di grande valore strategico per Firenze per il loro sbocco sul mare e il commercio ad esse legato.
Non appena i magistrati della Repubblica fiorentina vennero a conoscenza delle clamorose donazioni, l’8 novembre del 1494, proclamarono la cacciata di Piero e dei suoi familiari, fra cui il fratello Giovanni, al tempo cardinale e futuro papa Leone X.

Luci e ombre su Firenze alla fine del secolo

Anche il popolo insorse sulla spinta di Fra’ Girolamo Savonarola che, dal pulpito del convento di San Marco, lanciava invettive infuocate contro la corruzione, i vizi e i piaceri dei nobili, in generale, e dei Medici, in particolare. Savonarola,infatti, li riteneva responsabili di aver abbandonato la sincerità della fede, la purezza spirituale e aver, così, condizionato tutto il popolo fiorentino provocandone la perdita dei valori e dei costumi.

Quello che successe tra la cacciata dei Medici e la fine di Savonarola, non è dato raccontarlo in questa sede, ma potrà essere l’occasione per approfondire questa parte della storia fiorentina, così intricata, con una visita tematica approfondita.

Le testimonianze raccontano.

La figura di Savonarola è ancora oggi controversa, tuttavia in città vi sono due testimonianze che rendono omaggio alla sua memoria: una campana e una lastra marmorea.
La prima è legata alla sua vita, l’altra alla sua morte. La prima è custodita al sicuro all’interno del Convento di San Marco, di cui fu priore fino alla fine della sua vita, mentre l’altra è alla mercé del calpestio della gente, così come è incastonata nella pavimentazione della Piazza della Signoria.

Entriamo allora nel Convento e dirigiamoci nella Sala del Capitolo. Uno degli ambienti che si affacciano sul chiostro ma l’unico in cui i domenicani avevano diritto di parlare.
La parete di fondo è dominata dal grande affresco della Crocifissione, dipinto da Beato Angelico negli anni del restauro del Convento reso possibile dal finanziamento di Cosimo il Vecchio dei Medici. L’affresco catalizza immediatamente lo sguardo di chiunque entri in questo luogo, tuttavia poco dopo l’attenzione si sposta in un angolo della sala dove, ormai silente, dimora la grande campana detta la Piagnona.

L’appellativo di Piagnona le è stato attribuito a giusto titolo perchè proprio lei, la campana, dall’alto del Campanile di San Marco dove era collocata un tempo, chiamava a raccolta i seguaci savonaroliani, detti appunto i piagnoni, perché si raccogliessero in chiesa ad ascoltare le prediche del frate. La Piagnona venne a tal punto identificata nella figura del Savonarola che, quando il priore domenicano venne catturato nella notte dell’8 aprile del 1498, la stessa risuonò disperatamente cercando di richiamare in aiuto la cittadinanza. A niente valsero i rintocchi sonori e la campana stessa venne condannata al silenzio: staccata dal Campanile, venne posta su un carretto e, durante il tragitto che la conduceva in esilio nel monastero di San Salvatore al Monte, veniva frustata dal boia perché subisse lo stesso martirio del suo frate.

Lì vi rimase fino a che nella seconda metà del ‘500, ancorché malconcia, venne restituita ai domenicani che la issarono nuovamente sul campanile dal quale fu definitivamente tolta nel 1908 per essere sottoposta al restauro ed essere così ammirata dal pubblico.

Un capolavoro bronzeo del Rinascimento

Eh sì, ammirata perché, la campana è un piccolo capolavoro nato dalla collaborazione tra lo scultore Donatello, il suo collaboratore Michelozzo – che ricordiamolo era stato incaricato da Cosimo il Vecchio della ristrutturazione del Convento – e dal finanziamento della famiglia dei Medici appunto.

L’attribuzione della commissione a Cosimo de’Medici, del resto, è attestata da un’iscrizione in capitali latine che corre lungo tutto il perimetro superiore.
Al di sotto dell’iscrizione corrono altre due fasce, di cui quella superiore con una teoria di puttini danzanti e nastri svolazzanti, alternati a vasi e stemmi a testa di cavallo con le palle medicee; mentre quella sottostante presenta archetti e gigli rovesciati.
La decorazione si conclude con due medaglioni corredati da un’iscrizione celebranti, uno la Vergine Maria e l’altro San Domenico,
e con all’interno, rispettivamente, la Vergine in gloria tra quattro angeli e San Domenico, fondatore dell’Ordine dei predicatori.

Pur non recando nè data nè i nomi degli artefici, lo splendido manufatto è ancora oggi attribuito a Michelozzo e Donatello che proprio in quel periodo erano soci in bottega. Inoltre lo stile nella resa di angeli e putti si ritrovano sia nel pulpito esterno che Donatello stava realizzando in quegli stessi anni per il Duomo di Prato che nella cantoria di Santa Maria del Fiore caratterizzata anch’essa da punti danzanti e festosi.

Per chi suona la campana

L’importanza e la bellezza della campana non si esauriscono nella splendida decorazione artistica e nel suo valore storico, ma anche per la sua qualità sonora. Nel 2010 infatti, il musicista Anthony Sidney, nell’ambito del progetto Florence finanziato dai Friends of Florence, fece risuonare la campana la quale rivelò le sue grandi “doti canore”: dai rintocchi emerse l’accordo del Re> (re-fa#-la)